Ai partecipanti al “Seminario de Ética en el Gerenciamiento de la Salud” (17 novembre 2025)

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. La pace sia con voi!
Grazie mille. Un benvenuto a tutti.

Saluto monsignor Bochatey, direttore di questo Seminario di Etica nella Gestione della Salute, e tutti i partecipanti al suddetto seminario che hanno voluto incontrarsi, sotto l’egida della Pontificia Accademia per la Vita, per dialogare sull’etica nella salute, sull’intelligenza artificiale e sulle innovazioni tecnologiche e digitali.

Tuttavia, avvicinandovi alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo nell’ambito di questo anno di Giubileo, il vostro incontro non ha solo un valore formativo, ma diventa anche un pellegrinaggio, nel quale la riflessione sul valore etico delle nostre proposte diviene una bella tappa del cammino che come società e come Chiesa siamo chiamati a percorrere. Oggi la Chiesa vi accoglie come pellegrini di speranza, considerando preziosi i vostri diversi approcci, competenze e propositi, per stabilire un dialogo di vita e di azione nel compito comune della cura del malato.

Sono molti gli aspetti interessanti che emergono dai temi che affronterete, forse troppi per trattarli insieme in questo breve saluto, tuttavia mi permetto di evidenziare un concetto che mi sembra li accomuni. Mi riferisco alla possibilità di un pregiudizio, all’introduzione di una condizione, di una premessa, di una nota che falsifica, tronca, esclude in modo fraudolento la percezione che abbiamo della realtà della società e del malato concreto, creando una situazione di ingiustizia nella gestione delle risorse necessarie alla corretta amministrazione della salute.

Se come individui e come società siamo chiamati a difendere attivamente l’inequivocabile dignità di ogni essere umano, in tutte le tappe e sfaccettature della sua esistenza, purtroppo, ciò non corrisponde sempre alla realtà. Strumenti tanto efficaci come l’intelligenza artificiale possono essere manipolati, addestrati, orientati affinché, per motivi di opportunità o interesse, siano essi economici, politici o di altra indole, si generi tale pregiudizio, a volte impercettibile, nell’informazione, nella gestione e nel modo in cui ci presentiamo o ci avviciniamo all’altro.

Le persone entreranno così in una perversa manipolazione che le classificherà in base ai trattamenti necessari e al loro costo, alla natura delle loro malattie, trasformandole in oggetti, in dati, in statistiche. Il modo per evitarlo penso consista nel cambiare il nostro sguardo, nel percepire il valore del bene con una visione ampia, nel guardare, se mi permettete, come guarda Dio, per non concentrarci sul profitto immediato, ma su ciò che sarà meglio per tutti, sapendo essere pazienti, generosi e solidali, creando legami e costruendo ponti, per lavorare in rete, per ottimizzare le risorse, affinché tutti possano sentirsi protagonisti e beneficiari del lavoro comune.

Al tempo stesso, Dio ci insegna che questa visione ampia non deve mai essere separata dal rapporto umano, dalla carezza, dal riconoscimento della persona concreta, nella sua fragilità e nella sua dignità. È una visione profonda, una visione che giunge al cuore dell’altro e dilata il nostro. Queste due visioni saranno l’antidoto migliore affinché le nostre strutture gestionali non perdano di vista la cosa più importante: il bene che siamo chiamati a custodire. Che il Signore ci aiuti a essere fedeli in questo servizio. Molte grazie.

 

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L’Osservatore Romano, Edizione Quotidiana, Anno CLXV n. 265, lunedì 17 novembre 2025, p. 7.