Lunedì 22 Aprile : San Tommaso dAquino

Gesù ha detto: “Io sono il buon pastore” (Gv 10,11). E’ evidente che il titolo di pastore spetta a Cristo. Poiché, come un pastore pascola il gregge, così Cristo nutre i fedeli col cibo spirituale che è il suo corpo e il suo sangue.

Per distinguersi dal cattivo pastore e dal ladro, Gesù precisa che è lui il buon pastore. Buono perché difende il suo gregge con l’impegno di un buon soldato per la patria. D’altronde Cristo ha detto che il pastore entra dalla porta e che è lui stesso la porta (cfr. Gv 10,7). Quando dunque si dichiara qui pastore, bisogna capire che è lui che entra, e da se stesso. Ed è vero certamente poiché manifesta che conosce il Padre in se stesso, mentre noi entriamo per mezzo di lui ed è lui che ci dà la beatitudine. Notiamo che nessun altro, al di fuori di lui, è la porta, e nessun altro è la luce, se non per partecipazione. Giovanni Battista “non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce” (Gv 1,8). Cristo, lui, era “la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (v. 9). Nessuno quindi può dirsi la porta, poiché questo titolo se lo è riservato Cristo.

Ma il titolo di pastore lo ha comunicato ad altri, lo ha dato a certi suoi membri. Infatti, anche Pietro lo fu, e gli altri apostoli, così come tutti i vescovi. “Vi darò pastori secondo il mio cuore, – dice Geremia – che vi guideranno con scienza e intelligenza” (3,15). Benché i capi della Chiesa – che sono tutti figli di essa – siano tutti pastori, Cristo dice: “Io sono il buon pastore”, per manifestare la forza unica del suo amore. Nessun pastore è buono se non unito a Cristo per la carità, solo così diviene membro del vero pastore.