Lettera del Santo Padre all’Em.mo Card. Omella Omella in occasione del V centenario della conversione di Sant’Ignazio di Loyola (12 settembre 2022)

All’Eminentissimo Cardinale
Juan José Omella Omella
Arcivescovo di Barcellona
e Presidente della Conferenza Episcopale Spagnola

Caro fratello,

Il 14 novembre si celebrerà a Barcellona un evento singolare, i 500 anni dall’arrivo di un povero soldato a un luogo recondito della geografia della Spagna, mentre era in cammino verso la Terra Santa. Il nostro protagonista, dopo aver servito il re e le sue convinzioni fino a versare il proprio sangue, era ferito nel corpo e nello spirito, si era spogliato di tutto e nutriva il proposito di seguire Cristo in povertà e umiltà. A lui in quel momento poco importava alloggiare in ostelli per i poveri o doversi rifugiare in una grotta per pregare, e ancor meno che questo comportasse l’essere “considerato stolto e pazzo” (e.e. 167). Eppure — paradossi del destino — cinque secoli dopo le autorità civili e religiose di quella regione, insieme al preposito generale dell’istituto religioso da lui fondato, la Compagnia di Gesù, si riuniscono in forma istituzionale per celebrare quell’evento.

Anche io desidero unirmi a questo atto, per il quale ho voluto che mi rappresentassi, pregandoti di far giungere il mio saluto a tutte le autorità presenti, sia civili sia ecclesiastiche e, attraverso di esse, al Popolo fedele di Dio, che ricorda sant’Ignazio di Loyola con devozione e affetto, e agli uomini di buona volontà che lo rispettano in quanto uomo integro e coerente nelle sue convinzioni. E anche ai membri della Compagnia di Gesù che come me lo venerano come fondatore.

È significativo in questo momento pensare che, per portarlo fino a lì, Dio si sia servito di una guerra e di una peste. La guerra, che lo fece uscire da Pamplona e fu il detonante della sua conversione, e la peste che gli impedì di arrivare a Barcellona e lo trattenne nella grotta di Manresa. È una grande lezione per noi, perché non ci mancano guerre e pesti per farci convertire. Possiamo quindi considerarle come un’opportunità per invertire la rotta seguita fino a ora e investire in ciò che è veramente importante, qualunque sia l’ambito in cui ci muoviamo. Perché, per mezzo delle crisi, Dio ci dice che non siamo noi i padroni della Storia, con la maiuscola, e neppure delle nostre storie, e per quanto siamo liberi di rispondere o meno alle chiamate della sua grazia, è sempre il suo disegno di amore a guidare il mondo.

In quella circostanza, Ignazio si dimostrò docile a questa chiamata, ma la cosa più importante è che non trattenne quella grazia per sé, ma la considerò fin dall’inizio come un dono per gli altri, come un cammino, un metodo che poteva aiutare altre persone a incontrare Dio, ad aprire il proprio cuore e a lasciarsi interpellare da Lui. Da allora i suoi esercizi spirituali, come altri cammini di perfezione, quali i dodici gradi di umiltà di san Benedetto, las moradas [il castello interiore] di santa Teresa, o più semplicemente ciò che ci propongono le beatitudini o i doni dello Spirito Santo, si presentano a noi come quella scala di Giacobbe che dalla terra ci porta al cielo, e che Gesù promette a quanti lo cercano sinceramente.

Che il Signore ti benedica, caro fratello, che benedica il Popolo che peregrina in quelle terre, e che la Vergine Santa vi custodisca. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me,

Fraternamente,

Francesco

Roma, san Giovanni in Laterano, 12 settembre 2022

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L’Osservatore Romano, Anno CLXII n. 261, martedì 15 novembre 2022, p.8.