Mercoledì 28 Aprile 2021 : Commento Lanspergo il Certosino

L’umiltà con cui Cristo «spogliò se stesso assumendo la condizione di servo» (Fil 2,7) è per noi luce. Luce per noi il suo rifiuto della gloria del mondo, lui che ha voluto nascere in una stalla piuttosto che in un palazzo e subire una morte vergognosa su una croce. Grazie a questa umiltà possiamo capire quanto è detestabile il peccato di un essere di fango (Gen 2,7), un pover uomo che vale nulla, quando si inorgoglisce, si gloria e non vuole obbedire, mentre vediamo il Dio infinito umiliato, disprezzato e consegnato agli uomini. (…)

Anche la mitezza con la quale ha sopportato la fame, la sete, il freddo, gli insulti, le percosse, le ferite, è luce per noi, quando «era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca» (Is 53,7). Grazie a questa mitezza, infatti, vediamo quanto inutile è la collera, come la minaccia; diciamo sì allora al soffrire e non serviamo Cristo per abitudine. Grazie ad essa, impariamo a conoscere quanto ci è richiesto: piangere i nostri peccati nella sottomissione e nel silenzio, e sopportare la sofferenza quando arriva. Poiché Cristo ha sopportato i tormenti con tanta mitezza e pazienza, non per peccati da lui commessi, ma per quelli degli altri.

Fratelli carissimi, riflettete dunque su tutte le virtù che Cristo ci ha insegnate con l’esempio della sua vita, che ci raccomanda con i suoi insegnamenti e ci dà la forza di imitare con l’aiuto della grazia.