I miei compagni? Tutti morti

«I miei compagni? Tutti morti»
LA STORIA DELL’UNICO SUPERSTITE
«Prima è finita la benzina, poi il cibo. Sono passate delle barche e anche un elicottero, urlavamo disperati: Aiuto! Aiuto! Ma nessuno si è fermato. All’undicesimo giorno, abbiamo iniziato a bere acqua del mare. Eravamo in quindici. Sono l’unico sopravvissuto: eravamo in 15 a bordo».
Si chiama Mohammed Adam Oga, si trova ancora in un letto di ospedale dove è stato curato perché gravemente disidratato e allo stremo delle forze: ha rischiato lui stesso di morire, se una motovedetta della Marina maltese non avesse avvistato il gommone e predisposto il suo trasporto d’urgenza in elicottero nell’ospedale della Valletta.
Dopo la sua intervista riportata dal Times of Malta ha scoperto di essere l’unico sopravvissuto. L’uomo quando è stato trovato dagli uomini della Marina maltese era accasciato, privo di sensi, vicino al corpo esanime dell’ultimo dei suoi compagni. Ha raccontato di aver visto morire sotto i suoi occhi tutti gli altri 13 compagni, tra cui una donna incinta, con cui era a bordo del gommone nel tentativo di attraversare il Mediterraneo centrale e raggiungere le coste europee. «Non avevamo cibo. Né acqua. Nessun carburante», ha spiegato, parlando con l’aiuto di un traduttore.
«Dopo che siamo stati 11 giorni in mare, abbiamo iniziato a bere l’acqua di mare». «Dopo cinque giorni sono morte due persone. Poi ogni giorno a due a due altri compagni sono morti». Mohammed è originario dell’Etiopia e ha raccontato di essere stato un politico con il Fronte di liberazione di Oromo, che fa campagne per l’indipendenza della regione di Oromia e per questo motivo è stato messo fuorilegge dal governo. «Se torno in Etiopia, sarò arrestato», ha spiegato ancora. Negli ultimi 15 anni ha vissuto in Eritrea e poi in Sudan, che è nel mezzo di una crisi politica che ha portato a proteste di massa e omicidi. Ha viaggiato in Libia dopo che alcuni amici gli avevano suggerito di unirsi a loro.
Una volta in Libia, ha incontrato un somalo di nome Ismail e un contrabbandiere libico che ha organizzato la loro traversata sul gommone per l’Europa. Il passaggio gli è costato 700 dollari: «L’agente ci ha fornito il Gps e ci ha detto: vai a Malta», ha aggiunto Mohammed. Il gommone con 15 persone a bordo è partito dalla città di
Zawiya, sulla costa della Libia a 45 km a ovest di Tripoli il primo agosto.
Prima è terminato il carburante, poi il cibo e infine l’acqua. Mohammed, in un passaggio della sua testimonianza ha raccontato di aver cercato assieme agli altri suoi compagni di ottenere aiuto da barche ed elicotteri che li avevano avvistati, ma nessuno si è fermato. «Abbiamo visto molte barche. Abbiamo gridato: Aiuto, aiuto! Ci sbracciavamo, disperati per farci ascoltare. Ma nulla. Un elicottero è passato e se n’è andato». Mohammed mentre racconta di come i suoi compagni di traversata abbiano perso la vita, uno per uno, chiude gli occhi. «Sono morti nella barca. Faceva molto caldo ed eravamo oramai senza cibo né acqua». La donna incinta e un altro uomo provenivano dal Ghana, due erano originari dell’Etiopia e il resto delle persone arrivava dalla Somalia.
Descrivendo a fatica questa situazione disperata Mohammed ha raccontato che i corpi dei compagni morti iniziavano a decomporsi per il caldo. «Ismail ha detto che dovevamo mettere i cadaveri in mare. Ogni giorno prendevamo i corpi e li gettavamo in acqua. I corpi iniziavano a puzzare». Alla fine Mohammed e Ismail si sono ritrovati soli sulla barca. «Ismail mi ha detto: Tutti sono morti ora. Perché dovremmo vivere?, e ha gettato il Gps e i telefoni in mare. Ma io ho risposto che non volevo morire».
Alla fine del suo racconto Mohammed Ada Oga ha voluto esprimere la sua gratitudine per i militari maltesi che gli hanno salvato la vita: «Dio mi ha inviato voi».
ILARIA SOLAINI (Avvenire 17.8.19)
Quante persone saranno lasciate morire ancora in mare, con buona pace di tanti cristiani?